Sin dal momento in cui la campagna vaccinale anti covid19 è stata aperta ai minorenni, genitori, tutori e operatori del diritto si sono trovati di fronte alla delicatissima questione del contrasto tra genitori, o anche tra genitori e figli, sulla scelta ed il consenso alla vaccinazione.
Senza la necessaria riflessione che, se non l’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio, quantomeno la nuova tecnologia dei farmaci in questione – mai sperimentata prima su larga scala – avrebbe dovuto comportare, già dalle prime pronunce i Tribunali si sono perfettamente allineati al sentire comune imposto dalla pressione sociale e mediatica, con motivazioni scontate che hanno accolto a braccia aperte gli argomenti a supporto delle scelte governative, palesandone al contempo le gravi contraddizioni logiche.
Su questa scia, nel mese di febbraio u.s., la Prima Sezione del Tribunale Civile di Palermo (relatore dr.ssa Sara Marino) ha accolto l’istanza di un padre diretta alla somministrazione del vaccino anti covid19 al figlio dodicenne, scelta per cui si trovava in contrasto con la ex moglie, contraria invece alla vaccinazione poiché preoccupata rispetto a possibili effetti avversi.
Le ragioni a sostegno della domanda paterna erano legate, oltre che alla protezione del contagio dal covid, principalmente alle possibilità per il figlio, affetto da lieve patologia , di esercitare tutte quelle attività sociali consentite solo a chi è in possesso della certificazione verde covid19 in forma rafforzata.
Il Collegio ha ritenuto di ascoltare il minore, evidenziando in motivazione come sia stato proprio egli ad esprimere il desiderio di vaccinarsi, per poter tornare ad una vita normale; “almeno avrei una vita”, queste le parole del ragazzo, riportate dal provvedimento dai giudici palermitani, che hanno dato perfettamente conto della reale ragione che ha indotto il minore, ed il padre, a chiedere di essere sottoposto al trattamento sanitario.
L’impossibilità di “avere una vita”, una socialità, di praticare quelle attività che sarebbero normali per un minorenne, sono state ritenute dal genitore e dalla magistratura il presupposto per consentire ad un trattamento farmacologico di natura sperimentale di cui non sono conosciuti gli effetti a lungo termine.
Non dunque la necessità terapeutica effettiva, unica esigenza che avrebbe potuto consentire al giudicante ’adozione di provvedimenti di sospensione temporanea della potestà ove la decisione genitoriale apparisse in contrasto con le finalità di preservazione dell’integrità fisica del minore, ma le “ripercussioni negative sulla vita sociale e lavorativa delle persone e, per quanto riguarda i minori, sul loro percorso educativo e sociale, limitando la possibilità di accesso alle strutture formative” hanno costituito l’aspetto preponderante valorizzato nella decisione del Tribunale di Palermo ed in altre analoghe decisioni adottata dai giudici nazionali in questi mesi (Trib. Monza, sez. IV Civile, decr., 22 luglio 2021; Trib. Milano, sez. IX Civile, decr. 22.11.2021)
In pratica i diritti naturali negati, all’uguaglianza, alla dignità e all’identità, alle relazioni affettive primarie, all’istruzione, allo sport, alla vita sociale, sono diventati il nuovo nucleo del benessere psicofisico del minore cui aspirare, e dal quale far discendere la necessarietà di un trattamento sanitario.
La giurisprudenza omogenea che si è andata formando in tema di vaccinazione anti sarscov2 dei minorenni ha accettato che la discriminazione e la negazione dei diritti divenisse, dunque, il presupposto per ritenere utile e necessario un trattamento farmacologico che, rispetto a quella fascia d’età, non ha giustificazioni terapeutiche solide, essendo questi farmaci di nuova generazione finalizzati a proteggere, e neppure completamente, dalla forma grave di malattia, che si verifica generalmente nella popolazione fragile e anziana, e che non interessa invece, se non in maniera marginalissima, i minori.
E, venendo meno al principio di precauzione, che deve necessariamente ispirare l’attività amministrativa e giudiziaria quando i risultati ed i rischi del progresso scientifico non sono del tutto noti, in questo caso per la salute umana, ha disdegnato di tenere in considerazione gli allarmanti dati sugli effetti avversi che sono emersi sin dall’inizio della campagna vaccinale proprio relativamente alla fascia di popolazione under 40.
Le ragioni della madre, preoccupata per la possibilità di effetti avversi, imminenti o futuri, rispetto ad una sicura non grave incidenza della malattia da covid19 in quella fascia d’età, secondo il collegio palermitano “non risultano ancorate a dati scientifici certi e contrastano con gli insegnamenti della scienza ufficiale e con le indicazioni terapeutiche a livello nazionale ed internazionale”.
I giudici, dunque, si sono trincerati dietro “gli insegnamenti della scienza ufficiale”, per non affrontare il tema estremamente controverso sul reale rapporto rischio/beneficio nella vaccinazione dei minori.
Ma, v’è da chiedersi e da chiedere al collegio decisore, non è scienza ufficiale quella che ha valutato l’aumento di pericarditi e miocarditi nei giovani, in concomitanza con la vaccinazione, ed ha accertato che il rischio esiste ed è concreto in particolare nei giovani maschi, o quella che ha guidato le decisioni adottate in altri paesi di non autorizzare la somministrazione per la fascia pediatrica, valutando a sfavore il rapporto rischio-beneficio?
Evidentemente ad orientare le decisioni dei giudici, in questi casi, è stata solo quella parte della scienza che corrobora le decisioni governative, immune al confronto ed al dibattito, e limitata entro i confini nazionali.
Gli insegnamenti della “scienza ufficiale” rimangono, allora, un assioma privo di significato concreto, il riparo posticcio per la decisione politicamente corretta e socialmente condivisa.
In realtà la scelta di definire “ufficiale” una parte del mondo scientifico è di per sé discutibile, essendo la scienza per definizione l’insieme delle discipline fondate essenzialmente sull’osservazione, il calcolo, basata sul metodo scientifico, sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e da discutere pubblicamente, e quindi libera da ogni principio di autorità.
Con i riferimenti alla “scienza ufficiale” quale promanazione di organi istituzionali sì è avuta, invece, la sensazione che la magistratura avesse completamente perso quel carattere di separazione e indipendenza dagli altri poteri che dovrebbe caratterizzarla, a garanzia della sua terzietà, e che sempre di più fosse diventata l’espressione del potere esecutivo, alle cui decisioni politiche deve conformarsi senza sollevare dubbio alcuno.
Eppure, soprattutto in materia tanto delicata, il giudice ha il dovere di ricercare e valutare ogni elemento al fine di adottare la decisione corrispondente “al miglior interesse per il figlio”, e non pare che abbia fatto buongoverno di detti principi il collegio palermitano liquidando i timori della madre sulla possibile insorgenza di eventi collaterali, in particolare a lungo termine, come “dubbio antiscientifico”, in presenza degli avvertimenti delle stesse aziende produttrici dei vaccini anti covid19 sull’inesistenza di dati sugli effetti a lungo termine e sulla mancanza di studi adeguati sulla cancerogenicità e sulla genotossicità di tali prodotti.
Addirittura la sentenza di Palermo è arrivata a stigmatizzare l’opposizione della madre alla somministrazione del vaccino infliggendole la condanna alle spese, statuizione ingiusta, sproporzionata ed inaccettabile, trattandosi di materia di famiglia e di un thema decidendum comunque nuovo, presupposti che avrebbero legittimato entrambi la compensazione delle spese di lite.
Tale accanimento, che è sembrato quasi un monito, è stato accolto come un segnale scoraggiante da quella parte del mondo giuridico che, in epoca pandemica, ha tentato di rimanere neutrale ed attento alle ragioni delle parti, senza lasciarsi coinvolgere dall’ondata di emozione collettiva dominata dalla paura.
La sfiducia nella capacità del sistema giudiziario di rispondere alle esigenze di giustizia dei cittadini con decisioni equilibrate, attente, imparziali, ed effettivamente super partes è inesorabilmente aumentata.
Ma proprio quando sembrava che i dubbi di quei genitori sull’opportunità di questa vaccinazione non avessero speranza di trovare ascolto, finalmente, con una decisione coraggiosa e di rottura, il Tribunale di Pistoia, in persona della dott.ssa Lucia Leoncini, con ordinanza del 4.3.2021, ha respinto il ricorso di una madre che chiedeva l’autorizzazione alla somministrazione del vaccino anticovid ai tre figli minori in assenza del consenso del padre.
Il Tribunale, dopo aver ascoltato le parti ed il figlio ultradodicenne, ha tenuto in considerazione le allegazioni documentali delle parti, osservando come il ricorso ne fosse sostanzialmente privo mentre parte resistente avesse allegato ampia documentazione scientifica e sanitaria a sostegno delle sue ragioni.
Alle motivazioni della madre su un generico beneficio per la salute dei figli si sono contrapposte quelle del padre, relative alla insufficiente sperimentazione dei vaccini in questione, il rischio di effetti avversi e la non necessità della vaccinazione per i minori (a ben vedere i medesimi dubbi che affliggevano la madre nel caso palermitano e che, ritenuti antiscientifici, le sono costati anche la condanna alla spese di lite).
Anche in questo caso le ragioni del figlio maggiore ascoltato dal Tribunale attenevano essenzialmente alla possibilità di avere una vita sociale, e le medesime esigenze, di natura non sanitaria, sono state ribadite dalla madre anche per i figli infradodicenni.
Il Tribunale ha preso le mosse, per la sua decisione, dai dati scientifici a disposizione della collettività; a differenza che nella decisione del collegio palermitano, il riferimento a tali dati è stato concreto e puntuale, e non il richiamo ad un generico postulato.
La domanda relativa alla vaccinazione dei minori degli anni dodici è stata respinta semplicemente sulla base delle stesse indicazioni contenute nei foglietti illustrativi dei farmaci in questione che, recentemente aggiornati, recano espressamente l’indicazione che il vaccino non è raccomandato ai minori degli anni dodici ( Pfizer e Moderna) e degli anni diciotto per il nuovo farmaco Nuvaxoid; il Tribunale ha prudentemente valutato di non poter autorizzare la somministrazione di un farmaco sconsigliato dalle stesse autorità sanitarie.
Per il figlio ultradodicenne, ed indirettamente anche per gli altri, il giudice di Pistoia ha poi preso in considerazione “il migliore interesse per il figlio”, osservando che in caso di decisioni mediche esso debba essere basato su criteri valutativi oggettivi e, nel caso di specie, necessariamente sulla valutazione del rapporto rischio/beneficio.
Sul punto ha serenamente osservato come il principale beneficio della vaccinazione anticovid, dal punto di vista medico, sia rappresentato dalla limitazione della possibilità di contrarre la malattia in forma grave, mentre i rischi principali siano quelle legati agli effetti avversi.
Successivamente è passato ad una lucida analisi dei dati messi a disposizione dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Istat, valutando i decessi nella fascia d’età 0/18 rispetto ai contagi, e tramutando il dato in termine di riduzione del rischio morte, e dunque di beneficio della vaccinazione.
Ha poi osservato il dato empirico, considerandolo fatto notorio, che i vaccini attualmente disponibili non sono efficaci nell’impedire il contagio
Comparativamente ha valutato i possibili rischi, deducendo come dallo stesso foglietto illustrativo emerga la poco rassicurante indicazione di “frequenza non nota” degli eventi avversi più gravi come reazioni allergiche o impreviste del sistema immunitario, ed ancora che i farmaci in questione comportano un aumentato rischio di miocardite e pericardite.
Il giudice si è poi soffermato sull’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio, non essendo conclusa la fase IV di sperimentazione, osservando come ciò, di per sé, dovrebbe indurre una particolare cautela soprattutto rispetto alla somministrazione di questi farmaci ai soggetti poco esposti alla malattia grave da covid19.
L’accento è stato posto proprio sul principio di precauzione che deve pervadere la scelta medico-giuridica, soprattutto verso i minori, soggetti deboli e privi di capacità di agire, specificando come la somministrazione di un farmaco di cui non sono noti gli effetti avversi, a breve ed a medio-lungo termine, per scongiurare rischi sanitari remoti (della malattia grave da covid19) non corrisponda all’applicazione del detto principio.
Dunque, in definitiva, salvi casi particolare attinenti a specifiche esigenze, secondo il Tribunale di Pistoia la somministrazione degli attuali preparati vaccinali attualmente in uso per la malattia da sars-cov2 non corrisponde al miglior interesse per il figlio.
Si tratta di una decisione importantissima, non solo per l’accurata valutazione del rapporto rischio/beneficio che il giudicante ha effettuato in termini di salute attraverso l’analisi, e non il mero richiamo, ai dati scientifici a disposizione della comunità, ma anche per la successiva riflessione sul bilanciamento tra la salute individuale e l’interesse pubblico, nella prospettiva dell’art. 32 della Costituzione.
Secondo il Tribunale di Pistoia, infatti, la prevalenza del versante pubblicistico deve ritenersi consentita soltanto in ipotesi eccezionali, da declinare secondo il principio di ragionevolezza previsto dall’art. 3 della Costituzione ed individuare nel rispetto di una riserva di legge.
In questa prospettiva, la valutazione del rapporto rischio/beneficio deve avvenire tenendo in considerazione parametri omogenei, e dunque rischi e benefici per il ricevente, e non rischi per il ricevente e benefici per la collettività.
Nel caso della vaccinazione anti covid19 al giudicante è apparso dimostrato che la comparazione rischio beneficio faccia propendere per uno sbilanciamento in favore dei rischi e che, avendo il “miglior interesse per il figlio” carattere prettamente individuale, e preponderante rispetto all’interesse pubblico essendo i minori soggetti destinatari di speciale tutela, la protezione della salute del minore debba senza dubbio considerarsi prevalente, anche il relazione al bilanciamento con altri interessi del minore stesso, quali la vita sociale e relazionale
E dunque, finalmente, un giudice che ha posto al centro della sua decisione il miglior interesse per il figlio, come diritto al godimento del bene salute nella sua accezione piena intesa quale benessere psicofisico protratto nel tempo, in applicazione del principio di precauzione in campo medico e conformemente ai criteri di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, e attraverso una valutazione obiettiva dei dati scientifici a disposizione.
Sulla scorta di questa decisione, non resta che augurarci che il miglior interesse del minore, nella sua dimensione reale ed ancorata a criteri di buon senso (e non subordinata al libero esercizio dei diritti civili) possa rappresentare effettivamente il fulcro dei provvedimenti della magistratura italiana in questa materia.