Spett.le “Il Dubbio”, Cari Colleghi,
il 22 settembre u.s. la direzione generale del Ministero ha diramato l’ennesima circolare, prot. n. 0047627-P-22/9/2021, diretta alle professioni sanitarie ed ai rispettivi Ordini.
L’oggetto di tale circolare è l’art. 4 del D.L. n. 44/2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 76/2021 ed i conseguenti adempimenti da parte degli Ordini.
Il Ministero scrive di essere stato sollecitato a fornire la “corretta interpretazione delle disposizioni di cui all’art. 4 del decreto legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 2021, n. 76” e dunque, con un colpo di bacchetta magica, si è trasformato da organo che eventualmente dà attuazione ad una legge, ove previsto, ad interprete della stessa, con buona pace della Magistratura e del Parlamento.
Nel merito dice il Ministero che in base al 1° comma “(…) la vaccinazione dei professionisti sanitari è quindi, nelle intenzioni del legislatore, un requisito imprescindibile perché i medesimi siano considerati idonei a svolgere la propria attività professionale nonché condizione legittimante per l’esercizio della stessa, in qualunque forma giuridica. Tale condizione, in base alla lettura testuale della norma, deve sussistere inizialmente, ai fini dell’iscrizione all’albo, e deve permanere nel tempo in ogni fase dell’attività, pena la sospensione dall’esercizio della professione”.
Il Ministero prosegue poi nella disamina della procedura prevista dai commi successivi e afferma che trattasi di “sospensione obbligatoria, per la quale la valutazione sulla gravità dei fatti presupposti viene compiuta in via preventiva dal legislatore a tutela della salute pubblica; (…) pertanto l’attività dell’Ordine prevista dal summenzionato comma 7, consiste in un mero onere informativo, ovverosia nella comunicazione all’interessato, previa presa d’atto da parte dell’ordine medesimo e senza alcuna valutazione di merito, della sospensione derivante ex lege dall’atto di accertamento dell’ASL (…)”.
Ma la favolosa interpretazione cui giunge il Ministero alla fine è che “Dalle considerazioni sopra esposte, stante il principio ribadito dal legislatore al comma 1 dell’articolo 4, secondo cui la vaccinazione è requisito essenziale per lo svolgimento della professione, emerge evidente che dall’atto di accertamento da parte della ASL dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, cui consegue l’annotazione nell’albo, non può che discendere per il sanitario medesimo la sospensione ex lege dall’esercizio dell’attività professionale sanitaria tout court”.
C’era però il problema dell’ultimo capoverso del comma 6 del D.L.: “L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2” e del collegato comma 8: “Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.
Come fare dunque a sospendere tout court il sanitario per il sol fatto che non abbia aderito all’obbligo vaccinale e dunque a prescindere dal fatto che svolga una prestazione o mansione che NON implicano contatti interpersonali o comunque la diffusione del contagio?
“Evanesco” è la formula dell’incantesimo di sparizione e “Stupeficium” quella che schianta l’avversario.
E così la verifica preventiva dell’impossibilità del c.d. repechage scompare e resta la scoccata finale inferta dal Ministero:
“Ferma restando pertanto la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria nel caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale, il datore di lavoro potrà adibire il dipendente ad altre mansioni, diverse da quelle sanitarie proprie del profilo di appartenenza, purché, appunto, non implichino ecc. (…)”.
Il Ministero tiene da ultimo a precisare che è inutile, per i sanitari, presentare ricorso alla Commissione Centrale Esercenti le Professioni Sanitarie (CCEPS) – sempre che fossero a conoscenza dell’esistenza di tale commissione – perché tanto “non potranno avere, in ogni caso, alcun effetto impeditivo del verificarsi della sospensione ope legis dall’esercizio della professione (…)”.
E così un medico, dopo aver studiato per una vita e fatto i turni di notte per la salute dei propri pazienti e quindi di quella collettiva, a prescindere che sia o meno un dipendente o un libero professionista, non è più un medico, non è più niente; però, pur non essendo più un medico, potrà ad esempio esaminare i referti clinici da solo e nel chiuso della sua stanza se avrà la ‘fortuna’ di essere demansionato o più semplicemente potrà imbustare, sempre da solo e nel chiuso della sua stanza, le lettere con le quali l’ASL richiama i suoi colleghi all’Ordine!
Ed a proposito di Ordine, da tale incantevole opera interpretativa è rimasto stregato anche il Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) il quale, opportunamente “riordinato” dalla Legge n. 3/2018 (c.d. Lorenzin) e sotto la maledizione “Imperius” che gli fa dimenticare che gli Ordini “promuovono e assicurano l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilita’ delle professioni e dell’esercizio professionale, la qualita’ tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva”, il giorno seguente 23 settembre 2021, con la Comunicazione n. 184, prot. 13733/2021, ha affermato, allegando la circolare del Ministero, che:
“Nella nota allegata devono essere evidenziati tre aspetti di particolare rilievo:
1. La vaccinazione è requisito imprescindibile per svolgere l’attività professionale che deve sussistere inizialmente, ai fini dell’iscrizione nell’albo e deve permanere nel tempo pena la sospensione dall’esercizio della professione;
2. Stante il principio summenzionato la sospensione ex lege dall’esercizio dell’attività professionale non può che considerarsi come sospensione tout court e non sospensione limitata nell’oggetto;
3. La presa d’atto degli Ordini deve configurarsi come atto deliberativo dell’organo competente”.
Vale la pena di notare che nel mondo dei Babbani, negli stessi giorni, gli organi competenti ad interpretare le leggi, come ad esempio i Tribunali, hanno espresso valutazioni un po’ diverse da quelle del Ministero.
In particolare il Tribunale di Padova, in sede Collegiale trattandosi di reclamo avverso provvedimento ex art. 700 c.p.c., in data 20/9/2021 si è così espresso nel giudizio R.g.n. 1550/2021, accogliendo il reclamo proposto dal sanitario:
“Al fine della decisione della causa, deve essere valutata l’applicabilità alla fattispecie di quanto prevede l’art. 4 d.l. 44/21.
Deve allora rilevarsi che tale disposizione è diretta ad incidere non sul contratto, ma sul rapporto, prevedendo a carico dell’esercente la professione sanitaria – tale deve intendersi certamente l’infermiere – la sospensione del diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportino il rischio di diffusione del contagio.
Tale principio, tradotto sul piano del rapporto con i dipendenti, comporta l’alternativa tra l’assegnazione a mansioni diverse, anche inferiori, non comportanti tale rischio ovvero la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
Che l’inadempimento all’obbligo di vaccinarsi non incida sul contratto è comprovato dal fatto che tale condotta non è assunta dalle legge come giusta causa di risoluzione del rapporto in essere; che la sospensione dal rapporto, comunque eventuale, è temporanea e al momento non va oltre il 31 dicembre 2021; che la sospensione non si produce ope legis, dovendo prima di tutto l’Azienda invitare l’interessato all’effettuazione della vaccinazione ovvero a comprovare l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale.
La norma, quindi, mostra di voler operare sul momento esecutivo del rapporto e non su quello costitutivo/risolutivo.
Ne deriva dunque che – fermo restando il potere discrezionale dell’amministrazione convenuta di sospendere la ricorrente una volta assunta – nessuna norma di legge facoltizza l’amministrazione a derogare alla graduatoria degli idonei nella fase di assunzione”.
E sul fatto che la sospensione del lavoratore senza retribuzione sia l’extrema ratio e che si debba, PRIMA di sospendere, verificare l’impossibilità del repechage, si è espresso il Tribunale di Milano nella sentenza n. 2135/2021 del 15/9/2021:
“Cionondimeno, rappresentando la sospensione del lavoratore senza retribuzione l’extrema ratio, vi è un preciso onere del datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. L’onere probatorio che grava sul datore di lavoro in caso di sospensione del rapporto per impossibilità temporanea della prestazione è, dunque, analogo a quello previsto per il caso di licenziamento per impossibilità definitiva della prestazione (i.e. impossibilità del c.d. repechage): in ambedue i casi il datore di lavoro è onerato di provare di non poter utilizzare il lavoratore in altra posizione di lavoro o in altre mansioni equivalenti o inferiore (Trib. Ravenna, sez. lav., 6 settembre 2017, n. 276)”.
Sembra, ma potrei sbagliare, che le interpretazioni del D.L. n. 44/2021 date dal Ministero e dalla Magistratura non corrispondano.
Tuttavia le circolari ministeriali, da mero atto interno, stanno diventando atti aventi forza di legge ineludibili e le conseguenze sui diritti dei sanitari paiono devastanti perché, come l’incantesimo “Stupeficium”, schiantano ed atterriscono le professioni ed i professionisti.
E non ci si rende conto che maltrattare i medici ed i sanitari in senso lato, annichilirli, limitarne il numero, le capacità e l’agire in scienza e coscienza, avrà come effetto un deterioramento delle prestazioni, dei servizi e dunque della salute collettiva.
Viviamo lo stesso periodo tormentato che passava il Ministero della Magia ai tempi di Lord Voldemort, non tanto per gli strumenti usati – ivi compresa la manipolazione delle notizie pubblicate sulla Gazzetta del Profeta – quanto piuttosto per il silenzio assordante di tutte le istituzioni, pubbliche e private, di fronte a tali reiterati abusi; e purtroppo, nella fattispecie, devo comprendervi anche gli Ordini Forensi ed il CNF (a meno che non mi sia sfuggito qualcosa, ed in tal caso chiedo scusa).
I sistemi di controllo e di bilanciamento dei poteri dello Stato stanno piano piano saltando inesorabilmente.
Dobbiamo veramente solo sperare che ci sia un Harry Potter che venga a salvarci?