La Corte di Giustizia dell’Unione Europea Grande Sezione con la pronuncia n. 441 del 19.04.2016 ha non solo riaffermato il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, ma ha anche accresciuto la rilevanza dei diritti riconosciuti al singolo dal diritto eurounitario in relazione a quelli che sono i principi contenuti nella direttiva 2000/78/CE, concernente la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e attuata nell’ambito nel nostro ordinamento mediante il D.vo 216/2003.
Gli aventi causa a titolo successorio di un lavoratore subordinato di una Società intendevano ottenere dalla stessa una indennità prevista dalla legge danese in base alla quale “in caso di licenziamento di un lavoratore subordinato, in servizio nella stessa azienda continuativamente per 12, 15 o 18 anni, il datore di lavoro, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, gli corrisponde una somma pari, rispettivamente, a 1, a 2 ovvero a 3 mensilità di stipendio”. La Società opponeva la impossibilità di procedere a detta liquidazione in virtù di disposizioni contenute all’interno della medesima legge in base alle quali i lavoratori non avrebbero avuto diritto alla indennità sopracitata qualora avessero potuto beneficiare di una pensione di vecchiaia da parte del loro datore di lavoro mediante una adesione al regime pensionistico effettuata prima del compimento del cinquantesimo anno di età, indipendentemente dalla scelta di restare nel mercato del lavoro oppure di andare in pensione.
Alla Corte di Giustizia veniva, quindi, richiesto di verificare se il principio generale di non discriminazione in ragione dell’età contenuto all’interno della direttiva (già attuata mediante apposita legge nell’ordinamento danese) ostasse con la normativa interna prevedente le soprarichiamate esclusioni dal diritto di ricevere una indennità dal datore di lavoro.
Con la pronuncia in esame, la Corte di Giustizia, ritenendo il principio di non discriminazione in base all’età contenuto all’interno della citata direttiva, un principio espresso “in maniera concreta”, ha stabilito che “Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di una controversia tra privati rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 è tenuto, nel momento in cui attua le disposizioni del suo diritto interno, a interpretarle in modo tale che esse possano ricevere un’applicazione conforme a tale direttiva ovvero, qualora una siffatta interpretazione conforme fosse impossibile, a disapplicare, se necessario, qualsiasi disposizione di tale diritto interno contraria al principio generale della non discriminazione in ragione dell’età”.
La Corte di Giustizia ha di fatto esteso al principio contenuto all’interno della Direttiva gli effetti propri del regolamento europeo, valorizzando, in tal modo, il ruolo e le responsabilità del giudice nazionale chiamato a decidere sulla applicazione di una normativa interna prima facie in contrasto con il principio di non discriminazione.
L’applicazione del principio espresso nella richiamata sentenza potrà sicuramente essere portato all’attenzione del giudice nazionale che si trovi a decidere su questioni applicative del d.l. 1/2022, laddove le disposizioni in esso contenute precludono l’accesso al lavoro alle persone ultracinquantenni sprovviste di certificazione verde COVID-19 da vaccinazione (ove, chiaramente, le medesime non siano già in possesso di un certificato di guarigione).
La dichiarata finalità dell’art. 4 quinques, introdotta dal d.l. 1/2022 al d.l. 44/2021, è, infatti, quella di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, al pari della finalità posta alla base dell’introduzione dell’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro pubblici e privati di cui al d.l. 52/2021.
Non è quella di una tutela individuale degli ultracinquantenni -la tutela individuale, infatti, non è menzionata nelle finalità del d.l. 1/2022, e non potrebbe esservi inserita quale giustificazione dell’obbligo vaccinale alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 5/18, né quella di “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni”, poiché detta ultima finalità è posta alla base del solo art. 1 comma 1 del d.l. 1/2022 che introduce, nel d.l. 44/2021, l’art. 4 quater e che prevede l’obbligo generalizzato di vaccinazione delle persone che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, il cui inadempimento è diversamente e specificatamente sanzionato.
E allora:
-il d.l. n. 1/2022, all’art. 1, comma 4, prevede che “I lavoratori di cui ai commi 1 (soggetti obbligati per l’età alla vaccinazione) nel caso in cui comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 di cui al comma 1 (da vaccino o di guarigione) o che risultino privi della stessa al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro”;
-il medesimo d.l. n. 1/2022, all’art. 1 comma 5 prevede che “è vietato l’accesso ai lavoratori di cui al comma 1 ai luoghi di lavoro in violazione dell’obbligo di cui al predetto comma”;
-parimenti il l’art. 9 quinquies del d.l. 52/2021, introduttivo dell’obbligo di certificazioni verdi COVID-19 (ivi incluse quelle “base”) per i lavoratori pubblici, al comma 6 recita “Il personale di cui al comma 1 (lavoratori pubblici) nel caso in cui comunichi di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risulti privo della predetta certificazione al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della predetta certificazione (…) senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro”;
–le medesime finalità sono, inoltre, indicate dall’art. 9 septies, del d.l. 52/2021, introduttivo dell’obbligo di certificazione verde COVID-19 (anche “base”) in ambito lavorativo privato;
– sia ai lavoratori pubblici che privati è fatto divieto di accedere ai luoghi di lavoro se sprovvisti di certificazione verde COVID-19 (anche “base”);
alla luce della circostanza che gli artt. 9 quinquies e 9 septies del d.l. 52/2021 continueranno ad essere applicabili ai soli lavoratori infra cinquantenni –e le misure ivi previste sarebbero perciò idonee a tutelare la salute e la sicurezze dei lavoratori nel luogo di lavoro- è necessario chiedersi: la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro è messa a repentaglio dagli ultracinquantenni più che dagli infra cinquantenni, tanto da vietarne l’accesso anche se muniti di certificazione verde “base”?
Evidentemente no.
Ne deriva che la disposizione introduttiva dell’obbligo di vaccinazione per i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età si appalesa assolutamente discriminatoria, perché non oggettivamente e ragionevolmente giustificata, con la conseguenza che una corretta applicazione del principio di non discriminazione, così come individuata dalla Corte di Giustizia, dovrà indurre il giudice nazionale a propendere per l’esclusione dell’obbligo della certificazione verde descritta nel d.l. 1/2022 nei casi di dubbia operatività della stessa e a operare una disapplicazione del neonato art. 4 quinquies in tutti i casi in esso specificatamente previsti.