Offro la testimonianza di uno spaccato della mia coscienza, una fotografia del momento in cui mi sono svegliato, fissato nel breve racconto della “resa del campione”, inserito qualche mese dopo come capitolo di apertura del saggio “La sovranità del diritto tiranno” edito da Albatros Il Filo – ed. 2020.
LA RESA DEL CAMPIONE – Roma, 18 Aprile 2020
CRONACA DI UNA SCONFITTA INATTESA
M.S.D. vs COVID19 – 0-3 a tavolino
Questo il bollettino ufficiale dello scontro tra i Massimi Sistemi Democratici ed il CoronaVirus, la microscopica formazione di origine asiatica che ha sconfitto in trasferta una delle più blasonate compagini al mondo, in una partita senza storia che ha ribaltato ogni pronostico e che ha fatto la fortuna di quell’intrepido treader che ha avuto l’ardire di scommettere milioni di dollari sull’impossibile, ha fatto 13 ma forse, capace evidentemente di prevedere il futuro, sarà ancora rintanato da ottobre 2019 nel rifugio postapocalittico ed autosufficiente che si sarà prudentemente premunito di procurarsi.
Mr. Conte ha motivato bene la sua squadra, ha parlato ai tifosi, ha chiesto loro di essere uniti, di accendere le luci in sede, perché solo uniti si poteva battere l’avversario; ha detto di aver pensato a tutto, studiato gli schemi, analizzato i dati e schierato la formazione migliore possibile, che anche le altre società avrebbero preso a modello.
Così gli azzurri sono scesi in campo ispirati dal Mister, forti della fiducia dalla dirigenza tecnica/scientifica e sospinti da un assordante inno cantato a gran voce da ogni dove, convinti che la vittoria sarebbe stata l’unica cosa che conta.
La vittoria.
Il premio di ogni competizione, il motivo del sacrificio e del massimo sforzo, il movente di una azione e lo scopo cui tende, e capita poi a volte che questa vittoria lasci pure il segno nella storia, che vada oltre l’almanacco e sia ricordata come un momento significativo che trascende il risultato in sè, la dimostrazione della supremazia di una cultura o di una società, un po’ come è stato nell’epico miracolo sul ghiaccio USA-URSS alle Olimpiadi invernali di Lake Placid oppure come perfettamente rappresentato nella famosa pellicola del 1981 con Max Von Sidow, Michael Caine, Sylvester Stallone e Pelè.
E per vincere questa partita Mr. Conte, allenatore alla sua prima panchina importante, ha pensato ad uno schema moderno, innovativo, la sintesi tra il classico catenaccio italico e la nota b-zona di Canà, obbligando tutta la squadra a chiudersi nella propria area di rigore per contenere l’avversario, perché se ci si mette tutti davanti alla porta non passa nessuno.
E così subito a sorpresa 0 -1 per Convid19 che, con un improvviso smarcamento dalle linee più esterne, si insinuava in area, passava sotto le gambe di Codogno, aggirava la zona presidiata da Vò Euganeo e gonfiava la rete del portierone Fontana con un fendente tipo catapulta infernale dei gemelli Derrik.
La reazione della MSD è stata intensa ma breve, si sono levati cori assordanti di ogni tipo, forse troppi e perciò sono stati sopiti quelli inutili o non motivazionali, perché non bisognava perdere di vista la filosofia del Mister, il contepensiero, l’unico vero mantra capace di vincere la partita contro questo tipo di avversario.
La nazionale dopo lo svantaggio ha stretto i ranghi, non è uscita dall’area di rigore, ha continuato a proteggersi passivamente dagli attacchi avversari, costringendo agli straordinari anche i centrocampisti e gli attaccanti, che non hanno perciò potuto fare altro che allinearsi alla difesa senza poter esprimere le loro qualità.
L’outsider si è subito approfittato della situazione, con cinismo ha rifilato un poker fulmineo alla favorita, in un batter di ciglia si è portata sul 0-5 ed il Mister Conte è corso ai ripari, ha sostituito il talento dei mammasantissima del reparto offensivo per affidarsi completamente ad un reparto difensivo in difficoltà, che di certo non era il punto di forza della squadra, pochi ricambi validi, molti infortunati, qualche squalificato ed anche chi è sceso in campo non era in perfette condizioni fisiche.
In altri tempi saremmo inorriditi di fronte ad una sostituzione di Totti, Del Piero e Baggio con Bruscolotti, Nela e Vierchowod, ma tant’è, il nostro Commissario Tecnico ha preso ad esempio il grande Claudio Gentile che ha fermato addirittura Maradona e, con irremovibile convinzione, si è assunto a chiare lettere la responsabilità delle proprie scelte.
L’ordine categorico allora è stato “fermi tutti”, l’allenatore ha gridato a squarciagola di non uscire dall’area, di non sottovalutare la furia dell’avversario in vantaggio di 5 gol, “abbiate paura” ha detto, e paura è stata, non quella di vincere – che permette alla coscienza almeno di compiacersi per averci provato – ma quella più profonda e vergognosa di sapere che in realtà si parte già sconfitti, che si è più deboli, come una presa d’atto dell’impossibilità di controllare l’inevitabile.
Improvvisamente il pubblico si è ammutolito, dagli spalti più nessuna pittoresca Ola e si sono sentiti invece timidi cori di disappunto, la contestazione pian piano si è fatta sempre più sonora, ed anche il clima in campo ne ha risentito.
Soprattutto il Mister si è risentito, si è mostrato offeso ed indignato, si è fatto prendere dall’impeto di una reazione impulsiva sfogandosi pubblicamente contro alcune voci dissenzienti nello spogliatoio, sicchè tornato in campo, verso la metà del secondo tempo, quando c’era ancora modo per limitare i danni, in accordo con la dirigenza tutta, annunciava di voler ritirare la squadra, di abbandonare la partita per impossibilità di garantire la salute psico-fisica dei calciatori da una sconfitta tanto degradante quanto umiliante, chiedendo la stessa cosa ai tifosi, imperativo: abbassare la testa e respirare poco, travisarsi il volto per non farsi riconoscere e stare lontani gli uni dagli altri, anzi meglio se calciatori in ritiro punitivo e tifoseria a casa senza cena, senza lavoro, senza scuola, senza cultura, senza concerti, senza viaggi, senza passeggiate, senza sesso, senza moda, senza un cazzo insomma.
Nessuno dei più avveduti esperti della materia si sarebbe mai aspettato che la natura agonista del nostro avversario intendesse rispettare l’onore alle armi e perciò, sebbene la nazionale avesse alzato bandiera bianca, in un campo completamente vuoto, inaspettatamente la formazione asiatica non ha smesso di giocare, ha proseguito a marcare reti sino al 90’ arrivando a segno per ben 23.277 incredibili volte.
Per fortuna il referto depositato in federazione ha tenuto conto del ritiro dal campo di una delle contendenti, quindi 0-3 a tavolino per l’altra, salvando la faccia dei codardi per una sconfitta resa meno amara dal risultato ufficiale e dai meandri del regolamento.
Resta impressa l’umiliazione delle tante manite sollevate al cielo al fischio finale da tutti i componenti della Covid19, il disprezzo del loro capitano con uno sputo in terra, deplorevole certo, criminale forse, ma significativo dell’idea che si sono fatti di noi e della stima che abbiamo perso.
Di positivo forse c’è che tutto il mondo ha potuto vedere, le altre nazionali hanno fatto tesoro della nostra esperienza di gara, hanno atteso, hanno studiato ed hanno capito che lo schema proposto dall’allenatore italiano non è sostenibile per una intera partita, andrà bene per i primi minuti ma poi deve necessariamente evolversi nel gioco, nella costruzione, nel lavoro di squadra, nella conoscenza, nella solidarietà tra compagni e nell’avanzamento, nella velocità dell’offensiva e, in definitiva, in un approccio del tutto incompatibile con le idee del nostro C.T., dei suoi consulenti tecnici, dei medici e dei tattici.
Attendiamo ora solo il prossimo Consiglio federale per fare i conti con le spinte riformiste, come accaduto con il Mr. Ventura dopo l’esclusione dal mondiale 2018, perché il responsabile c’è, ed è l’allenatore, lo ha riconosciuto lui stesso in un momento di autocritica serale, ed è responsabile anche per colpe non propriamente sue, perché poi in campo ci vanno gli atleti.
Di certo è che l’innovazione tentata dal nostro CT ha portato ad una onta indelebile, ad una mentalità primitiva, improduttiva ed affatto in linea con il blasone della società, macchiandosi della presunzione di poter sconfiggere Covid19 senza strumenti, senza preparazione atletica e tattica specifica, nell’intento nemmeno troppo recondito di sovvertire e riscrivere i principi basilari di questo amato sport, specchio della vita e parte delle nostre secolari tradizioni, perché non sia mai si tolga ad un italiano la mamma o il calcio.
Il più grave danno conseguito a questo epilogo è che la storica MSD non sarà mai più come prima, i suoi tifosi non si sentiranno più – e chissà per quanto tempo – i supporter di una nazionale tra le migliori al mondo, una squadra ed una società vincente, perché il campione si è arreso, il ciclo è finito, e Dio ci scampi da una rivincita a breve, almeno fino a quando non saremo veramente pronti, non avremo rifondato dal basso e non saremo capaci di resistere alla forza d’urto di un avversario sconosciuto senza sgretolarci al primo colpo per paura di non prenderne altri.
Cogliamo almeno l’occasione che la distruzione dell’intero tessuto ci fornisce per una ricostruzione dell’intero organigramma sociale, migliore se possibile, ma l’importante però è che non sia lui incaricato a farlo, perché altrimenti cresceremo menomati della consapevolezza nelle nostre infinite possibilità, sia individuali sia collettive, non emergeranno nuovi talenti, non miglioreranno i settori giovanili, l’intera filiera sarà asincrona e tutto il sistema abbasserà notevolmente l’asticella della competitività, delle risorse, del merchandising ed in generale del benessere che serve ad una qualsiasi entità sociale, non solo calcistica, per sperare di poter esprimere al massimo le proprie potenzialità.
A meno che non si vuol cadere in un pericoloso masochismo, non è pensabile di affidare la gestione dei Massimi Sistemi Democratici ad un manager che professa la distanza tra la società e la dirigenza, tra quest’ultima ed i dipendenti, tra questi e gli atleti ed infine tra tutti i tifosi, proprio in quanto si tratta di sport collettivo caratterizzato da contatto, da quella che una arguta dottrina ha definito “contatto sociale”, da interconnessioni indispensabili, che quanto più strette sono tanto più riusciranno ad amplificare la forza individuale di ciascuno.
Essere uniti vuol dire stare vicini, spalla a spalla, nel corpo e nello spirito, mentre il distanziamento dei reparti allunga la squadra, svilisce la solidarietà ed il sacrificio per l’altro, risolvendosi in un distanziamento umano che logora lo stesso concetto di collettivo.
La resa del campione è un fallimento di tutte quelle comunità che hanno professato una dotazione di ingenti risorse solo a chiacchere, di principi solo scritti e di valori senza mercato, ma tranquilli che si ripartirà, piano piano, anche se dalle serie secondarie, abbiate fede che tutto andrà bene anche giù dall’Olimpo, per noi figli di un dio minore.