Quasi due anni di attesa per una mammografia, circa un anno per una ecografia, una tac, o un intervento ortopedico ed a rinunciare alle cure nel corso del 2021 è stato più di un cittadino su dieci. Nella tabella sopra riportata è ben evidente la disfunzione.
È il lascito della pandemia, una emergenza che ancora non abbiamo superato, come mostra il “Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità”, presentato da Cittadinanzattiva che fornisce una fotografia della sanità vista dai cittadini, unendo due analisi: una afferente alle 13.748 segnalazioni giunte, nel corso del 2021, al servizio PiT Salute e alle 330 sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato; l’altra finalizzata a esaminare, da un punto di vista civico, il federalismo sanitario per descrivere i servizi regionali dal punto di vista della articolazione organizzativa, della capacità di amministrare e di fornire risposte ai cittadini in termini di servizi e assistenza sanitaria.
Le liste d’attesa, già “tallone di Achille” del Sistema sanitario nazionale in tempi ordinari, durante l’emergenza hanno rappresentato la principale criticità per i cittadini, in particolare per i più fragili, che di fatto non sono riusciti più ad accedere alle prestazioni. I lunghi tempi di attesa sono riferiti nel 53,1% di casi agli interventi chirurgici e agli esami diagnostici, nel 51% alle visite di controllo e nel 46,9% alle prime visite specialistiche. Seguono le liste d’attesa per la riabilitazione (32,7%) per i ricoveri (30,6%) e quelle per attivare le cure domiciliari-Adi (26,5%) e l’assistenza riabilitativa domiciliare (24,4%). Con la sospensione durante l’emergenza delle cure cosiddette non essenziali e non “salva vita”, si sono allungati a dismisura i tempi di attesa massimi di alcune prestazioni (si veda la tabella allegata).
Non solo si sono perse le prestazioni ma anche gli introiti: per quel che riguarda la specialistica ambulatoriale si è assistito a una riduzione complessiva fra 2019 e 2020 di oltre 144,5 milioni di prestazioni per un valore di 2,1 miliardi mentre il volume dei ricoveri totali erogati (ordinari e in DH) nelle strutture pubbliche o private si è ridotto di circa 1.775.000 prestazioni (– 21%, 14,4% di quelli urgenti e – 26% degli ordinari), mentre nell’area oncologica, tra 2019 e 2020 c’è stata una riduzione di circa 5100 interventi chirurgici per tumore alla mammella (-10% a livello nazionale) Senza parlare della salute mentale della popolazione che, da tempo trascurata, ha ricevuto il colpo di grazia con la pandemia che ha colpito più che in passato i giovani tra i 18 e i 34 anni, mentre i servizi sanitari a loro dedicati diminuiscono. La situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (28%), della protesta per la scarsa qualità dell’assistenza fornita dai Dipartimenti di salute mentale o Dsm (24%), delle difficoltà di accesso alle cure pubbliche (20%), nell’incapacità di gestire gli effetti collaterali delle cure farmacologiche (12%), nello strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (8%).
Se possiamo dire che è “colpa della pandemia”, non possiamo altrettanto fare con il Covid-19: siamo sicuri che il virus ha attaccato la salute mentale delle persone, i problemi oncologici, le articolazioni ortopediche, i macchinari per le tac etc. etc?? o forse la “colpa della pandemia” andrebbe ricerca nelle regole e nelle disposizione che il governo, a vari livelli della sua azione, ha pensato di utilizzare per fronteggiare una situazione di emergenza sanitaria nel modo che più ha ritenuto opportuno?
Diamo a Cesare quel che è di Cesare e non condanniamo gli innocenti.